domenica 10 febbraio 2013

La mia bizzarra competenza, ovvero l'importanza di essere JD


Tratto e in parte riadattato dalle conclusioni della mia relazione finale di tirocinio, datata 2010. Una verità un po' imbarazzante che non potevo tenere nascosta XD (scusate il lessico paccoso da università)
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CONCLUSIONI: LA MIA BIZZARRA COMPETENZA
C'è un particolare non propriamente ortodosso che ha rappresentato una parte importantissima del mio anno di tirocinio, e che sento di dover annotare in conclusione come snodo fondamentale del mio percorso di crescita, non tanto per la sua generale rilevanza educativa quanto per quello che ha rappresentato per me. Si tratta di una serie televisiva, Scrubs – Medici ai primi ferri, che conoscevo da qualche anno ma in cui mi sono imbattuto fortuitamente proprio nei mesi scorsi. La serie è una sit-com che mette in scena la vita di medici inesperti, che durante la prima stagione sono proprio tirocinanti presso un ospedale. Il protagonista, JD, spesso si abbandona a slanci surreali, veri e propri momenti di sospensione narrativa in cui immagina situazioni paradossali che lo aiutano a comprendere o “digerire” la dura realtà ospedaliera con cui si trova a fare i conti. Alla fine di episodi spesso all'insegna del demenziale, arriva sempre una piccola riflessione su quello che, nonostante tutto, i protagonisti hanno imparato, riportando lo spettatore al livello del reale-finzionale del telefilm.
In qualche modo sento che la fruizione della serie mi ha aiutato nel ridefinire la mia posizione rispetto al lavoro educativo, salvandomi anche da quel rischio di esaurimento precoce di cui dicevo all'inizio. In qualche modo è emerso negli incontri all'Università come tutti, chi più chi meno, siamo venuti in contatto con realtà dure, difficili e in qualche modo molto lontane dalla nostra, che spesso ci hanno posto quesiti e dilemmi etici di dura soluzione. Questa giustapposizione di mondi, per chi non è abituato, è una specie di battesimo di fuoco: è molto semplice fossilizzarsi sulla sofferenza, sulla violenza insita nelle storie con cui veniamo in contatto e farsi trascinare a fondo. Ci sono state sere buie in cui il peso di certe testimonianze, di certe storie di vita, è tornato a bussare alla mia porta ben dopo l'orario di chiusura del centro. Nottate in cui non riuscivo a chiudere occhio. Sensazioni di inadeguatezza che mi perseguitavano durante la giornata. Finché non ho trovato il mio modo per gestire tutto questo. Ho scoperto che l'ironia poteva essere la mia arma di difesa. Non un'ironia cinica, non un sarcasmo caustico: semplicemente uno spostamento di punto di vista, sufficiente a smascherare un po' la realtà da quel grigiore pesante che alcuni ragazzi si portavano dentro e vedere come certe cose sono più semplici di quello che appare. Immaginare i paradossi, proprio come JD, nella loro forma più ridicola, narrarseli con un po' di autoironia... è servito non solo a me per stringere i denti, ma anche ai ragazzi, perché fuori dalla loro ottica opprimente potevo scorgere per loro vie di scampo verso cui indirizzarli. Credo che nelle relazioni di cura, che sia terapeutica, familiare, esistenziale o educativa, sia necessario, assolutamente indispensabile non scordarsi come si fa a ridere. Perché in qualche modo bisogna tirare fuori quel che si riceve per assimilarlo meglio, e penso che la risata sia preferibile al pianto.
JD è stato un po' il mio maestro, e sono ridicolmente sincero ad ammetterlo. Ma ho trovato qualcosa che mi ha fatto ricordare che avere qualcosa per cui lottare non è tutto. Serve anche qualcosa su cui scherzare.
Si potrebbe intavolare una lunga dissertazione sul potere dei media nella nostra società, o sull'educazione diffusa che agisce per vie implicite. Ma non credo sia necessario, quando la spiegazione mi appare chiara e semplice: è tipico di me vedere messaggi importanti in cose futili, dove forse sono presenti solo in nuce.
Ma non è forse la stessa tendenza che mi porta a guardare quei ragazzi confusi e difficili e vedere in loro gli uomini e le donne che saranno? Non è questo che mi porta a leggere tra le righe e capire cosa può essere importante per loro?
Se questa non è una competenza da educatore professionale, allora posso affermare con certezza che dal mio tirocinio non ho imparato nulla.

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